Giornale Italiano di Nefrologia / Anno 23 S-36, 2006
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA E TRATTAMENTI EXTRACORPOREI
NEL PAZIENTE CRITICO

Il Supplemento del Giornale Italiano di Nefrologia che abbiamo il piacere di introdurre rappresenta un importante momento nella vita del Gruppo di Studio “ Trattamenti Depurativi in Area Critica” della Società Italiana di Nefrologia: non solo un atto di presenza all’interno della SIN, ma un atto di fiducia nei confronti di tutti i Colleghi Nefrologi che - è nei nostri auspici - vorranno impegnarsi fattivamente sia sul piano culturale e scientifico sia nella pratica clinica e terapeutica quotidiana nell’ambito della cosiddetta “Critical Care Nephrology”.
Il Gruppo di Studio “Trattamenti Depurativi in Area Critica” è stato fondato durante il 43° Congresso Nazionale SIN (maggio 2002), a Firenze, da un gruppo di Nefrologi accomunati dalla passione, figlia di fattiva esperienza clinica, scientifica ed applicativa, per le problematiche cliniche e terapeutiche della Insufficienza Renale Acuta e dei trattamenti extra-corporei nel paziente “critico”.
Ruolo non marginale peraltro rivestiva, a nostro avviso, l’esigenza di approfondire le conoscenze del Nefrologo su problematiche cliniche sempre più frequenti nella attività di consulenza presso le Unità di Terapia Intensiva (UTI) e sub-intensiva.
L’attività di consulenza presso le UTI, infatti, richiede oggi conoscenze sia altamente specialistiche che interdisciplinari, tali da consentire al nefrologo di confrontarsi in maniera costruttiva con gli altri specialisti (Rianimatori, Cardiologi, Infettivologi) coinvolti nella gestione clinica del paziente “critico” con IRA associata a sepsi e/o a Insufficienza Multiorgano.
Negli ultimi 10-15 anni la caratterizzazione epidemiologica della popolazione, rappresentata da pazienti sempre più anziani e con patologie concomitanti gravi a carico di più organi ed apparati, quindi con rischio di Insufficienza Renale Acuta nettamente aumentato, e l’impiego sempre più diffuso – talvolta con indicazioni fantasiose e “di moda” - di nuove metodiche di trattamento extracorporeo, hanno configurato una nuova area di competenza del nefrologo riconosciuta come “Critical Care Nephrology”.
Il Gruppo fondatore si era dato come missione operativa anzitutto la diffusione, all’interno della SIN tutta, di conoscenze critiche, sperimentate spesso personalmente, di quanto correlato alla Insufficienza Renale Acuta ed ai trattamenti extracorporei sostitutivi della funzione renale nei pazienti “critici”.
Si è pensato quindi di organizzare un percorso che prevedesse, attraverso Corsi di Aggiornamento culturale, una distribuzione “conviviale” del sapere in questo ambito; un chiarimento “criticamente ponderato” di tutto quanto correlato ai “Trattamenti Depurativi in Area Critica” sì da diffondere tra i Colleghi Nefrologi un messaggio il più possibile oggettivo ed applicabile clinicamente.
A nostro avviso urgeva - ed urge tuttora - la necessità vitale per i Nefrologi, per tutti i nefrologi, di partecipare in modo fattivo, decisivo, collaborativo alla gestione clinico-terapeutica del paziente “critico”, per non essere esclusi da un ambito che culturalmente e per capacità clinica ci vede in posizione di preminenza e che rappresenta una prova culturale difficile ed affascinante.
Il Supplemento che quest’oggi giunge a Voi raccoglie lo stato dell’arte di questo settore della Nefrologia: ci auguriamo possa appassionarVi e soprattutto possa essere di utilità per una gestione clinica e terapeutica, migliore ed appropriata, della Insufficienza Renale Acuta nel paziente “critico”.

Angelo Perego - Santo Morabito


ABSTRACT

Epidemiologia dell’insufficienza renale acuta

A. Santoro, E. Mancini
U.O. Nefrologia, Dialisi, Ipertensione, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

L’incidenza dell’insufficienza renale acuta (IRA) varia a seconda che si prendano in considerazione solo reparti di terapia intensiva o anche reparti di medicina generale o specialistica. Vi sono però situazioni, come dopo interventi di cardiochirurgia maggiore, in cui l’incidenza di IRA può raggiungere il 30%. La maggior parte delle insufficienze renali acute nelle terapie intensive sono secondarie ad una necrosi tubulare acuta che si manifesta nel quadro di una sindrome da disfunzione multi-organica. I fattori che più spesso accompagnano il danno acuto renale sono l’età avanzata, la deplezione di volume, l’ipotensione arteriosa, i sanguinamenti massivi, la sepsi. Le patologie che più frequentemente si complicano con una IRA sono le malattie epatiche gravi, le pancreatiti, la preesistente compromissione della funzione renale, le grandi ustioni, gli interventi cardiochirurgici e vascolari sui grossi vasi. Tra i fattori cosiddetti iatrogeni, i mezzi di contrasto e gli aminoglicosidi sono sicuramente i maggiori responsabili di rapidi peggioramenti della funzione renale. La mortalità è bassa per le forme di IRA isolata, mentre raggiunge punte del 50-80% nelle insufficienze multiorganiche dove spesso dominano le patologie coesistenti.
La mortalità in questi ultimi 20 anni non si è modificata nonostante siano migliorati i supporti farmacologici e soprattutto i presidi dialitici. I pazienti sono ora sempre più anziani, con patologie multiple e scarse capacità di recupero. Nei pazienti più anziani la mortalità è più elevata, mentre le forme tossiche (da contrasto o da mioglobinuria) sono associate ad un migliore “outcome”. I pazienti che contraggono la diuresi nel corso del danno acuto renale hanno una prognosi peggiore dei non-oligurici. Infine, sono fattori prognostici sfavorevoli la necessità di uso prolungato e a dosi elevate di farmaci inotropi, la ventilazione meccanica, l’insufficienza cardiaca e lo stato settico.

Sepsi, insufficienza renale acuta e “multiple organ dysfunction syndrome”
G. Graziani1, M. Buskermolen1, S. Oldani1, G. Brambilla2
1 Dipartimento di Medicina d’Urgenza, U.O. di Nefrologia e Dialisi, 2 U.O. di Radiologia, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano (MI)

La risposta infiammatoria sistemica (SIRS) è caratterizzata da una serie di reazioni che coinvolgono organi ed apparati in risposta ad eventi lesivi diversi. Nel caso in cui la SIRS sia prodotta da agenti infettivi si delinea il quadro della sepsi. Il passaggio in circolo di tossine batteriche, micotiche o virali provoca una serie di reazioni flogistiche sistemiche derivanti dall’attivazione dell’immunità cellulare, del complemento e della cascata coagulatoria. Il bersaglio di questa reazione flogistica sistemica è l’endotelio che, stimolato dai mediatori della flogosi, in particolare dalle citochine proinfiammatorie, produce una serie di agenti vasoattivi ad effetto paracrino e sistemico. Particolarmente rilevante è la produzione di ossido nitrico (NO) che, attraverso la grave riduzione delle resistenze arteriolari periferiche, è responsabile della ipovolemia relativa con caduta pressoria e shock settico. Le reazioni cellulari e vascolari sopradette in risposta a tossine batteriche coinvolgono tutti gli organi ed apparati per cui si realizza il quadro della sindrome settica. La lesione polmonare più grave è l’ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome). Le lesioni flogistiche ed emodinamiche indotte dalla sepsi spesso coinvolgono il rene e sono responsabili dell’insufficienza renale acuta. A livello cerebrale si verificano alterazioni dello stato di coscienza da edema cerebrale. L’endotossinemia provoca anche un danno miocardico diretto con riduzione della performance cardiaca che contribuisce allo sviluppo dello shock settico a prognosi severa. Si delinea quindi il quadro della insufficienza multiorgano (MOF) che richiede l’impiego di organi artificiali per mantenere in vita il paziente. La mortalità del malato settico con MOF è direttamente correlata al numero degli organi contemporaneamente insufficienti.

Indici prognostici nel paziente critico con insufficienza renale acuta
E. Fiaccadori1, C. Rotelli1, E. Parenti1, R. Giacosa1, E. Picetti2, U. Maggiore1, A. Cabassi1
1 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi, Parma 2 1° Servizio Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera-Universitaria, Parma

L’insufficienza renale acuta (IRA) è evento frequente nel paziente ospedalizzato, in particolare in ambiente di terapia intensiva, e si associa ad effetti negativi sulla mortalità, morbilità, e sull’utilizzo delle risorse sanitarie. Gli aspetti epidemiologici e prognostici della sindrome sono da tempo oggetto di studi e controversie; a questo proposito particolare rilievo rivestono problemi come la definizione di IRA, l’analisi fisiopatologica delle complicanze che la caratterizzano, la quantificazione della gravità di malattia, e la valutazione della prognosi della sindrome stessa. Tali aspetti, che risultano fondamentali ai fini di un corretto approccio alla prevenzione dell’IRA, verranno illustrati e approfonditi in questa rassegna, alla luce della letteratura più recente.

Terapie sostitutive renali continue (CRRT)
G. Canepari, P. Inguaggiato, G. Gigliola, S. Bainotti, M. Formica
S.C. Nefrologia e Dialisi, A.S.O. S. Croce e Carle, Cuneo

Le terapie sostitutive renali continue (CRRT) comprendono attualmente numerose metodiche adattabili a condizioni cliniche anche molto differenti e di estrema criticità. Le apparecchiature in commercio sono sempre più “friendly” e di semplice utilizzo pratico anche per il personale non dedicato alla dialisi, ma per una adeguata prescrizione del trattamento il nefrologo deve acquisire competenze specifiche che vanno oltre a quelle del trattamento dialitico dei pazienti cronici. La conoscenza e l’esperienza delle potenzialità tecniche della CRRT permette una prescrizione personalizzata della disidratazione e della dose di trattamento. Le clearances di molecole a diverso peso molecolare, possono essere modulate combinando diffusione e convezione e variando i flussi. La CRRT influenza il metabolismo anche sottraendo calore e sostanze nutrizionali e modificando l’equilibrio elettrolitico ed acido-base. Nei pazienti settici le metodiche CRRT standard non trovano indicazioni specifiche in assenza di IRA. Per influenzare l’evoluzione della sepsi si stanno sperimentando altre tecniche extracorporee come l’emofiltrazione ad alti volumi o la plasmafiltrazione (CPFA). Le caratteristiche di flessibilità della CRRT sono utili non solo per adattare il trattamento alle condizioni cliniche del paziente, ma anche per poter effettuare trattamenti al letto del malato in diverse condizioni logistiche.

Terapie sostitutive renali intermittenti prolungate (SLED/EDD) nell’insufficienza renale acuta in terapia intensiva
E. Fiaccadori1, U. Maggiore1, C. Rotelli1, E. Parenti1, R. Giacosa1, E. Picetti2, E. Antonucci1, A. Cabassi1, A.F. Perego3
1 Terapia Intensiva, Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione Università degli Studi di Parma - 2 1° Servizio Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera-Universitaria, Parma 3 Nefrologia, Dialisi e Trapianto, A.O. Niguarda Ca’ Granda, Milano

Le metodiche di terapia sostitutiva della funzione renale (renal replacement therapies o RRT) costituiscono la componente fondamentale della complessa strategia terapeutica dell’insufficienza renale acuta (IRA). Le caratteristiche della RRT ideale per il paziente con IRA sono rappresentate dalla possibilità di adeguato controllo del bilancio dei fluidi, dell’equilibrio acido-base e dell’intossicazione uremica, dall’assenza di problemi di instabilità emodinamica, dal basso rischio emorragico legato all’uso di antiemostatici per il mantenimento della circolazione extracorporea, e da costi ridotti in termini di utilizzazione delle risorse economiche e di personale sanitario. Le modalità di RRT attualmente più utilizzate sono rappresentate da trattamenti intermittenti brevi (come ad esempio l’emodialisi di 3-4 ore, eseguita a ritmo giornaliero o a giorni alterni), e dalle terapie in continuo o CRRT (come ad esempio l’emofiltrazione venovenosa continua o CVVH). Ciascuna di esse presenta vantaggi e svantaggi nel paziente critico, e non sono attualmente disponibili evidenze definitive a favore della superiorità dell’una o dell’altra metodica. In questa rassegna, dopo una analisi delle principali caratteristiche delle RRT per il paziente in terapia intensiva, verranno descritti i trattamenti cosiddetti “ibridi” o intermittenti prolungati, più spesso indicati in letteratura con l’acronimo “SLED” (sustained low-efficiency dialysis). Tali metodiche potrebbero rappresentare un importante progresso nel trattamento dell’IRA, in quanto sembrano presentare gran parte dei vantaggi delle modalità di RRT attualmente impiegate nella pratica clinica, senza condividerne necessariamente svantaggi e limitazioni.

Trattamenti extracorporei nell’insufficienza cardiaca: fisiopatologia, indicazioni cliniche e risultati

G. Marenzi, I. Marana, P. Agostoni
Centro Cardiologico Monzino, I.R.C.C.S., Istituto di Cardiologia, Università di Milano, Milano

Il trattamento con ultrafiltrazione dei pazienti affetti da grave scompenso cardiaco cronico (SCC), riduce l’edema, migliora il quadro clinico e l’equilibrio emodinamico, e si associa inoltre alla ripresa della diuresi e della risposta al trattamento diuretico, alla correzione dell’iponatremia e alla riduzione dell’attivazione neurormonale. Attraverso questi effetti l’ultrafiltrazione è in grado di interrompere la progressione dello SCC verso la refrattarietà con miglioramento delle condizioni cliniche e riduzione della classe funzionale. Durante ultrafiltrazione, il meccanismo di “refilling” che richiama liquidi dall’interstizio congesto è il principale meccanismo compensatorio che previene l’ipovolemia. L’ultrafiltrazione può essere utile anche nei pazienti con scompenso cardiaco di grado moderato (classe NYHA III) in cui l’eccessivo accumulo di liquido è limitato al distretto polmonare e riduce la capacità funzionale. In questo caso l’ultrafiltrazione, a differenza dei diuretici, è in grado di rimuovere l’eccesso di acqua polmonare e di migliorare la condizione clinica, la tolleranza all’esercizio fisico e la funzione polmonare.

Insufficienza renale acuta post-cardiochirurgica
S. Morabito, I. Guzzo, A. Solazzo, L. Muzi, V. Pistolesi, A. Pierucci
U.O.C. Nefrologia e Dialisi, Dipartimento di Scienze Cliniche, Azienda Policlinico Umberto I, Università “La Sapienza”, Roma

L’insufficienza renale acuta (IRA) ha un’incidenza variabile tra l’1% ed il 30% nei pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico e si associa a mortalità elevata (15-30%). Negli ultimi anni sono stati individuati numerosi fattori di rischio (pre-operatori ed intra-operatori) associati all’insorgenza di IRA. I fattori pre-operatori sono per lo più riconducibili alla compromissione cardiovascolare, all’età e alla presenza o meno di insufficienza renale pre-intervento mentre, tra quelli intra-operatori, particolare rilevanza è stata data al tipo di intervento, all'impiego ed alla durata della circolazione extracorporea e del clampaggio aortico. L’importanza di questi fattori si basa sulla possibilità di quantificare il rischio di IRA sulla scorta dei dati pre-operatori e, proprio a questo scopo, è stato recentemente elaborato uno score clinico in grado di stimare la probabilità di sviluppare IRA nel post-operatorio. L’impiego di questo score consentirebbe di individuare sottogruppi di pazienti a maggior rischio sui quali applicare strategie di prevenzione. La mortalità dei pazienti con IRA di grado grave, tale da richiedere trattamento dialitico, è particolarmente elevata (50-80%). La diagnosi precoce di IRA, pertanto, è un obiettivo irrinunciabile e l’inizio tempestivo del trattamento sostitutivo, unitamente alla somministrazione di una dose dialitica adeguata, può contribuire a migliorare la prognosi.

Il trattamento dell’epatite acuta fulminante: trattamento intensivo, sostituzione artificiale, trapianto epatico
A. De Gasperi
2° SAR e Trapianti Addominali, Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano

La insufficienza epatica acuta fulminante (ALF, acute liver failure) è caratterizzata da una grave ed acuta disfunzione di gran parte del parenchima epatico che porta a coagulopatia severa, insufficienza circolatoria ed encefalopatia. Riconosce tre forme: iperacuta, acuta, subacuta. La definizione dipende dall’intervallo tra comparsa dell’ittero e insorgenza della encefalopatia. La ALF è tuttora gravata da elevata mortalità, legata principalmente alla eziologia, all’età del paziente, allo sviluppo di edema cerebrale. La mortalità, precoce per edema cerebrale, nelle fasi tardive è invece legata allo sviluppo di complicanze settiche e ad insufficienza multipla d’organo. Il trattamento intensivo, migliorato negli ultimi anni grazie alla migliore comprensione delle modificazioni del profilo fisiologico ed alla possibilità di trattare specificamente le singole insufficienze d’organo, ha portato notevoli ma non definitivi progressi nell’outcome. Lo sviluppo e l’utilizzo di metodiche extracorporee artificiali (utilizzo di circuiti artificiali senza cellule) o bioartificiali (utilizzo di circuiti su cui sono caricate cellule epatiche umane o porcine), in grado di supportare almeno parzialmente la grave disfunzione epatica, costituiscono uno dei punti in rapido, continuo sviluppo, anche se prove della loro efficacia sull’outcome non appaiono ad oggi ancora disponibili. La vera svolta terapeutica è stata quella introdotta dal trapianto epatico, in grado di modificare radicalmente la prognosi, tanto da essere considerato l’unico trattamento di cui è dimostrata la capacità di modificare la storia naturale della ALF. In questa ottica le metodiche artificiali e bioartificiali devono ancora essere considerate misure temporanee per supportare una guarigione spontanea oppure per “prendere tempo” nei soggetti candidati al trapianto epatico urgente.

Disfunzione endoteliale e stress ossidativo nella sepsi
O. Parodi, B. De Chiara, J. Campolo, V. Sedda, E. Roubina
Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Milano, Dipartimento Cardiologico, A. De Gasperis, Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano

La disfunzione endoteliale e lo stress ossidativo rivestono un ruolo centrale nella patogenesi della sepsi e dello shock settico. La disfunzione endoteliale coinvolge un complesso network di risposte a livello cellulare, dei mediatori dell’infiammazione e dei fattori della coagulazione. Lo stress ossidativo, invece, è prodotto da uno squilibrio tra produzione di specie reattive dell’ossigeno e loro rimozione da parte di molecole antiossidanti endogene. Una panoramica su questi meccanismi è rilevante dal punto di vista diagnostico/prognostico, suggerendo marker di evoluzione clinica, identificando possibili bersagli terapeutici ed indirizzando verso il giusto timing d’intervento nel singolo paziente.

La sepsi: dalla patogenesi al trattamento
L. Gesualdo1, P. Cirillo1, S. Netti1, D. Centone1, A.F. Perego2
1 Dipartimento di Scienze Biomediche e BIOAGROMED, Università di Foggia 2 Struttura Complessa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, A.O. Niguarda Ca’ Granda, Milano

La sepsi grave e lo shock settico sono tuttora associati a mortalità elevata. Al fine di migliorare la prognosi, un approccio multidisciplinare e la cooperazione tra ricerca di base, ricerca clinica e ricerca industriale è indispensabile per sviluppare nuovi dispositivi artificiali o biologici per il trattamento della sindrome settica e delle complicanze sistemiche ad essa correlate. In futuro, lo sviluppo e la validazione di nuovi biomarkers, finalizzati alla diagnosi precoce della sepsi ed al monitoraggio della sua evoluzione clinica, unitamente allo stretto controllo dei principali indici prognostici, potranno contribuire ad una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici della sindrome settica ed alla tempestiva messa in atto di interventi terapeutici potenzialmente efficaci.

La sepsi: terapia farmacologica
I. Guzzo1, S. Morabito1, R. Stucchi2, G. Poli2, R. Fumagalli2
1 U.O.C. Nefrologia e Dialisi, Dipartimento Scienze Cliniche, Azienda Policlinico Umberto I, Università “La Sapienza”, Roma
2 Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Ospedali Riuniti Bergamo, Università degli Studi Milano-Bicocca, Milano

La mortalità per sepsi continua ad essere elevata nonostante i progressi ottenuti nella comprensione dei meccanismi patogenetici coinvolti. Le alterazioni emodinamiche sono frequentemente presenti nelle manifestazioni più gravi della sepsi e sono la causa principale dell’elevata mortalità. Il trattamento della sepsi, oltre che sul supporto emodinamico, sulla terapia antibiotica e sull’eradicazione chirurgica della fonte d’infezione, si basa sul tentativo di modulare la risposta infiammatoria. Infatti, la risposta infiammatoria dell’ospite ad un insulto infettivo può inizialmente essere appropriata ma, se eccessiva, può condurre allo shock settico ed alla disfunzione multiorgano. Sulla base delle conoscenze fisiopatologiche sono stati condotti studi clinici con numerosi agenti farmacologici: corticosteroidi, farmaci antinfiammatori non steroidei, antitrombina III, anticorpi monoclonali anti-endotossina, inibitori dell’ossido nitrico, antagonista recettoriale dell’interleuchina-1, anticorpi anti-TNF. Se si escludono i possibili effetti favorevoli della somministrazione di corticosteroidi a basso dosaggio, i risultati della maggior parte degli studi sono stati deludenti. Recentemente, tuttavia, è stata dimostrata una riduzione della mortalità con l’impiego della proteina C attivata ricombinante (drotrecogin-alfa) che è ormai disponibile per l’impiego clinico e trova indicazione nella sepsi grave associata a disfunzione di almeno due organi. E' stato dimostrato, inoltre, che un intervento terapeutico precoce, finalizzato ad ottenere la stabilità emodinamica tramite espansione di volume e impiego di farmaci vasopressori, ed un controllo glicemico ottimale sono in grado di ridurre significativamente la mortalità per sepsi grave o shock settico. Queste misure sono ormai elementi essenziali delle linee guida proposte dalle principali società scientifiche (Surviving Sepsis Campaign).

Trattamenti emergenti e/o alternativi nell’insufficienza renale acuta associata a sepsi
F. Mariano1, Z. Hollò1, D. Damiani1, C. Cogno1, M.C. Torazza1, S. Maffei1, D. Risso2, M. Vacca3, A. Della Valle3, G. Triolo1
1 Dipartimento di Area Medica, Unità di Nefrologia e Dialisi, Ospedale CTO, Torino 2 Dipartimento di Chirurgia Plastica, Unità di Chirurgia Plastica e Centro Grandi Ustionati, Ospedale CTO, Torino 3 Dipartimento di Emergenza ed Accettazione, Unità di Terapia Intensiva, Ospedale CTO, Torino

Il trattamento dell’Insufficienza Renale Acuta (IRA) associata a sepsi è un problema emergente nella terapia intensiva per il crescente numero di casi e la sua elevata mortalità. Le terapie sostitutive usuali con emofiltrazione non sono in grado di aumentare la sopravvivenza di questi malati, la cui sorte è legata alla fisiopatologia della sepsi. I nuovi approcci terapeutici oggi allo studio si basano tutti su un incremento delle clearance depurative delle sostanze a peso molecolare medio ritenute responsabili della sepsi e delle sue conseguenze negative di danno d’organo. Le nuove esperienze riguardano: 1) l’uso di resine assorbenti capaci di legare in modo specifico le endotossine o in modo aspecifico altri prodotti batterici, citochine, anafilotossine e diversi mediatori della flogosi; 2) l’aggiunta all’emofiltratore di un “device” biologico di culture di cellule tubulari umane (rene bioartificiale), capace di fornire in aggiunta anche alcune funzioni metaboliche del rene; 3) l’aumento dei volumi di scambio (high volume hemofiltration), arrivando a valori di ultrafiltrato pari a 60-100 L/die; 4) un aumento di permeabilità delle membrane, con eliminazione dell’ultrafiltrato (high cut-off membranes), sua sostitu- zione con plasma (plasmaferesi) o sua rigenerazione con la tecnologia dei sorbenti (CPFA). Applicando queste nuove metodiche nei malati con shock settico, si è osservato in genere un aumento della sopravvivenza rispetto a quello atteso e basato sulla gravità dello score. Questi risultati, seppure incoraggianti, non sono al momento definitivi e necessitano di ulteriori conferme.

L’emoperfusione diretta con Polimixina-B (PMX-DHP) nel trattamento della sepsi da gram negativi
A.F. Perego1, S. Morabito2, G. Graziani3, G.P. Casella4, O. Parodi5
1 Nefrologia e Dialisi, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano 2 Nefrologia e Dialisi, Azienda Policlinico Umberto I, Roma 3 I.R.C.C.S. Humanitas, Rozzano (MI) 4 Unità di Terapia Intensiva, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano 5 Istituto di Fisiologia Clinica CNR, Sezione di Milano, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano

La mortalità per sepsi grave o shock settico è tra il 28 ed il 50%. Negli USA 200.000 pz/anno muoiono per sepsi. Le endotossine dei Gram- (lipopolisaccaride, LPS) attivano monociti e granulociti, con produzione di citochine pro-infiammatorie, danno endoteliale e microvascolare per stress ossidativo da aumentata espressione di Nitric Oxyde Sinthase 3 (NOS3), generazione mitocondriale di Reactive Oxygen Species (ROS), fenomeni di perossidazione con citotossicità, aumento di permeabilità, danno di membrana endoteliale ed insufficienza multiorgano.
La pronta rimozione di endotossine circolanti con PMX- DHP riduce l’attivazione mono-granulocitaria con conseguente riduzione di citochine pro-infiammatorie, di danno endoteliale con stabilità del microcircolo vascolare. Viene presentato uno studio pilota, prospettico.
Due pz maschi e quattro femmine, età 60.5±24.5 in UTI per sepsi severa o post-chirurgia per infezione intra-addominale. Due sedute di PMX-DHP di 2 ore cadauna, flusso ematico 100±10 ml/min, effettuate entro 24 ore da diagnosi di sepsi severa o entro 12 ore dalla fine di intervento di chirurgia addominale; la prima PMX-DHP al tempo zero (T0), la seconda dopo 24 ore.
APACHE II score al T0: 20.1±3.7; SOFA score 14.2±2.5; organi insufficienti: 3±1.5; norepinefrina (Ne) in 1 pz.; in 4 pz. Ne + dopamina (DA); in 1 pz. solo DA. Dosaggio medio: Ne 0.24 mcg kg/min; DA 8.9 mcg/kg/min. Quattro pazienti in CRRT (emofiltrazione veno-venosa continua, emofiltro AN69) per tutta la durata dello studio. Dosaggio pre e post PMX-DHP di: endotossine plasmatiche, anti- IL1-beta, IL2, IL4, IL5, IL6, IL8, IL10, TNF-alfa, GM- CSF, IFN-gamma, attivazione monocitaria e granulocitaria (espressione di CD64) con citometro a flusso; valutazione del “redox environment” pre e post PMX-DHP con dosaggio di nucleotidi ossidati (NADP) e ridotti (NADPH), tioli, vitamina E, vitamina C; glutatione perossidasi (GSH-Px), Glutatione intraeritrocitario (eGSH) e GSH reduttasi (GSH-Rx). Confronto di tutti i risultati con i medesimi di coorte di 15 soggetti sani. Registrazione degli usuali dati emodinamici e respiratori.
Risultati: Riduzione significativa dei livelli circolanti di endotossine; deattivazione di macrofagi e granulociti con CD64 a livelli di norma; riduzione di IL6, IL10 and TNF- alfa. Aumento di Vit. E e cisteina totale plasmatica; livelli di NADPH e GSH-Px migliorati.
Non variazioni di anti-IL1-beta, IL2, IL4, IL5, IL8, GM- CSF, IFN-gamma. SOFA score ridotto: 8.9±2.1; incremento della pressione arteriosa media; riduzione supporto con amine; incremento diuresi. Mortalità effettiva 33% vs atte- sa del 51%.
Conclusioni: Nei pazienti esaminati PMX-DHP, riducendo i livelli circolanti di endotossine, ha ridotto la gravità della cascata settica come dimostrato dal grado di attivazione mono e granulocitaria, da ripresa di corretto metabolismo ossido-riduttivo con protezione cellulare endoteliale e del microcircolo e con miglioramento del quadro clinico e della sopravvivenza attesa.

L’equilibrio acido-base nel paziente in area critica
G. Rombolà, D. Parodi, M. Ardini
U.O.C. Nefrologia e Dialisi, Ospedale S. Andrea, La Spezia

I motivi che portano un paziente in area critica, la possibilità che più organi e apparati siano coinvolti e gli interventi terapeutici messi in atto, sono tutti elementi che possono interferire con l’omeostasi acido-base. Ne consegue che la corretta valutazione di una alterazione dell’equilibrio acido-base e la ricostruzione fisiopatologica di come questa alterazione si è venuta a determinare, può risultare un’operazione particolarmente complessa. D’altra parte, ripercorrere le varie fasi che hanno determinato l’alterazione, che noi fotografiamo in un certo momento, vuol dire aumentare la probabilità di una corretta diagnosi e di conseguenza una corretta impostazione terapeutica. Altri due aspetti contribuiscono a rendere l’interpretazione del disturbo ancora più complessa. Il primo è dovuto alla difficoltà di effettuare una qualsiasi stima, ancorché approssimata, del grado di coinvolgimento dei sistemi tampone “strutturali” (tamponi intra-cellulari, proteine, stimolazione o inibizione di processi metabolici ecc.), da cui derivare il carico acido complessivo e quindi calcolare le basi necessarie a ripristinare il patrimonio di quel paziente. Il secondo è legato all’abitudine di stimare l’entità del disturbo così come appare dai parametri forniti dalla emogasanalisi arteriosa, limitando l’osservazione ad un distretto vascolare parziale e l’analisi del disturbo al solo sistema bicarbonato-acido carbonico.

Nutrizione artificiale nell’insufficienza renale acuta
E. Fiaccadori1, U. Maggiore1, C. Rotelli1, E. Parenti1, R. Giacosa1, A. Cabassi1, T. Meschi2, L. Borghi2
1 Terapia Intensiva, Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi di Parma
2 Dipartimento di Scienze Cliniche, Università degli Studi di Parma

In questa rassegna si è inteso approfondire i principali aspetti della nutrizione artificiale in corso di insufficienza renale acuta (IRA), alla luce dei recenti concetti sull’epidemiologia e la prognosi della sindrome nel paziente critico in terapia intensiva. Sulla base dei dati della letteratura che documentano gli stretti rapporti tra IRA e stato nutrizionale è stato analizzato il duplice ruolo rivestito dalla malnutrizione in tale sindrome (comorbilità e/o complicanze). Successivamente sono stati presi in esame gli effetti della nutrizione artificiale (parenterale ed enterale) sullo stato nutrizionale, oltre che sulla morbilità e mortalità in corso di IRA, individuando il razionale del supporto nutrizionale in tale condizione clinica. Gli aspetti quantitativi e qualitativi della nutrizione artificiale sono stati discussi alla luce delle peculiari alterazioni metaboliche dell’IRA, sottolineando la necessità di una stretta integrazione tra supporto nutrizionale e terapia sostitutiva della funzione renale. Sono descritti, infine, i criteri di scelta delle metodiche nutrizionali nei pazienti con IRA, illustrando i principali aspetti gestionali della nutrizione parenterale ed enterale in tale sindrome, e le possibili complicanze della nutrizione artificiale.

Trattamento anticoagulante per le terapie sostitutive della funzione renale (RRT) nell’insufficienza renale acuta
E. Fiaccadori1, C. Rotelli1, E. Parenti1, R. Giacosa1, E. Picetti2, E. Antonucci1, U. Maggiore1, A. Cabassi1
1 Terapia Intensiva - Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi di Parma
2 1° Servizio Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera-Universitaria, Parma

Il paziente critico con insufficienza renale acuta (IRA) è spesso caratterizzato da elevato rischio emorragico, secondario alla presenza di complesse alterazioni delle piastrine e della coagulazione, all’effetto dell’uremia stessa, ed alle possibili conseguenze delle comorbilità acute e croniche sulla bilancia emostatica. In tale contesto clinico le emorragie, sia spontanee (più spesso a carico del tratto gastroenterico superiore), che associate ad interventi chirurgici o manovre invasive, possono rappresentare una complicanza frequente. Le terapie sostitutive della funzione renale (renal replacement therapies o RRT) prevedono solitamente l’uso di farmaci ad azione anticoagulante, allo scopo di prevenire la coagulazione del circuito, mantenere l’efficienza del filtro, ed impedire la perdita di sangue da coagulazione del sistema.L’anticoagulante più utilizzato attualmente è ancora l’eparina non frazionata, anche se nel paziente ad elevato rischio emorragico sono state proposte differenti opzioni che consentirebbero di eseguire le RRT con anticoagulazione regionale e/o con basse dosi di anticoagulante. In questa rassegna, alla luce dei presupposti fisiologici e fisiopatologici sull’emostasi normale e nel paziente critico con IRA, saranno illustrate le principali strategie antiemostatiche per la RRT nel paziente con IRA, discutendone i possibili vantaggi ed anche i limiti osservati nella pratica clinica.

Principi di farmacocinetica e aggiustamento posologico dei farmaci nelle terapie sostitutive renali continue (CRRT)
S. Morabito1, I. Guzzo1, E. Vitaliano2, L. Muzi1, A. Solazzo1, V. Pistolesi1, A. Pierucci1
1 U.O.C. Nefrologia e Dialisi, Dipartimento di Scienze Cliniche, Azienda Policlinico Umberto I, Università “La Sapienza”, Roma
2 U.O.C. Nefrologia, Dialisi e Litotrissia, Ospedale Sandro Pertini, Roma

Nel paziente “critico”, l’insufficienza renale acuta (IRA) e la “Multiple Organ Dysfunction Syndrome” (MODS) possono indurre modificazioni significative di importanti parametri farmacocinetici come il legame proteico, il volume di distribuzione e la clearance totale corporea (CTC). L’impiego sempre più diffuso delle terapie sostitutive renali continue (CRRT) o intermittenti prolungate (SLED) rappresenta una variabile ulteriore che a sua volta può incidere sulla concentrazione plasmatica di numerosi farmaci. I farmaci a prevalente o significativa eliminazione renale sono suscettibili di rimozione con la CRRT e richiedono un aggiustamento del dosaggio se la clearance (Cl) extracorporea è superiore al 25-30% della CTC. Gli effetti della terapia sostitutiva possono essere sostanzialmente diversi in rapporto alla metodica utilizzata (convettiva, diffusiva, mista), al tipo di membrana, alla superficie del dializzatore ed alla dose dialitica effettivamente somministrata (CRRT convenzionale o “high volume”). In particolare, l’impiego di membrane sintetiche ad alta permeabilità (high-flux) permette di ottenere una Cl non trascurabile di soluti a peso molecolare relativamente elevato e può determinare, a differenza di quanto precedentemente osservato con le membrane a bassa permeabilità (low-flux), il sottodosaggio di alcuni antibiotici di importanza strategica nel trattamento della sepsi. La Cl extracorporea di alcuni di essi (vancomicina, fluconazolo), specie con la diffusione dei trattamenti CRRT ad alti volumi (> 50-60 L/die), può risultare sorprendentemente elevata. Pertanto, ai fini di un aggiustamento posologico razionale (dose, intervallo o entrambi), è indispensabile una specifica conoscenza delle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche degli antibiotici di impiego più diffuso nelle UTI.

Valutazione dei costi nelle terapie sostitutive renali in area critica
S. Castellino, D. Santoro
U.O. di Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Vincenzo, Taormina (ME)

Il trattamento dei pazienti in area critica, rappresenta, una delle maggiori spese nel comparto della sanità. In tale con- testo, la gestione dei pazienti con disfunzione renale rappresenta un capitolo importante. Infatti, è stato stimato che essi rappresentano circa il 6-10% dei pazienti ricoverati in tali reparti. Numerosi studi effettuati negli ultimi anni hanno confrontato le tecniche di emodialisi continua (CRRT) con quelle intermittenti (IHD). Il confronto delle differenze di spesa tra le due metodiche, ha messo in evidenza un maggior costo delle CRRT, in termini di materiali, mentre per le IHD si osservava che la spesa era maggiormente individuata nella formazione e nel tempo impiegato dal personale per la gestione del trattamento emodialitico. Sempre secondo gli studi di confronto, tali spese andrebbero bilanciate nei pazienti in CRRT, con una maggiore sopravvivenza, ripresa della funzione renale e quindi sospensione della dialisi e riduzione delle giornate di degenza. Tali parametri, se opportunamente valutati e verificati, con studi multicentrici randomizzati, potrebbero condurre ad una sostanziale parità dei costi e permettere al medico una scelta tra le due metodiche che sia primariamente di tipo clinico e non meramente economica.